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  • Immagine del redattoreMariasole Valentini

IL SENSO DEL LIMITE BORDERLINE: quando il disagio si spinge ai confini.

Quale confine stabilisce l’accesso alla porta del consentito o della trasgressione?

Che senso riveste il limite per chi si accinge a sperimentare la vita, come nel caso del pre-adolescente o dell’adolescente?

Ancora una volta dobbiamo contestualizzare queste domande nei confini del mondo odierno, oberato di una cultura narcisistica, dalla moda dell’apparire, dal senso di solitudine in una dimensione iperconnessa, dove tutto è tendenzialmente raggiungibile ma dove il senso di solitudine è aumentato a dismisura e contrasta con l’evoluzione moderna degli spazi virtuali.

Il senso del limite come tentativo di boicottare il quotidiano o di rendersi visibili agli occhi di molti

La cronaca quotidianamente stila l’elenco delle conseguenze di chi decide di essere immortalato con un selfie, le quali toccano spesso quei paventati limiti della tragedia e che sono esplicative di tanti significati.



Oltre il limite del consentito riveste anche il tentativo di dire qualcosa, il bisogno di farsi ascoltare: questo assume i connotati del sintomo o dei sintomi, di diversa natura o maschera. Citabili i disturbi del comportamento alimentare, l’ansia e la depressione, gli atti di autolesionismo come tentativo di “sentire qualcosa” dentro si sé, in mezzo al caos della confusione in cui tutti urlano a chi è il più forte; non ultimo, il decidere di assumere altre identità o identità più facilmente gestibili, che creano meno ansia o un’ansia più contenibile.

Gestire in qualche modo il dolore

Questi tentativi sembra che permettano di gestire il dolore del senso dell’inadeguatezza che accompagna certe tappe della vita, considerabile come un amico fedele, quello che si desidera reale ma di cui si preferisce farne esperienza virtuale, per non dover incorrere anche nella delusione.

Così alcuni adolescenti si ritrovano a vivere la vita dalla loro stanza, il fenomeno dell’hikikomori, una forma di reclusione volontaria: essa blocca alcuni passaggi o compiti evolutivi del ragazzo che prova difficoltà nel compiere ciò che potrebbero essere considerate azioni di facile esecuzione come il camminare per strada e incrociare un coetaneo e, ancora, incontrare parenti in occasione di ritrovi familiari (Lancini M., 2019).

Tutto quanto possa essere motivo di esposizione del sé.


Per riflettere:

Cosa può fare l'adulto significativo?

In maniera più opportuna si dovrebbe pensare ad interventi preventivi piuttosto che riparativi, sia nelle scuole che nei luoghi di ritrovo ma anche nelle famiglie e soprattutto con l’adulto di riferimento.

Che tipo di adulto di riferimento sono?

Questa riflessione ulteriore, alla fine di questo percorso, è ulteriormente lecita: mi spinge a guardarmi ancora una volta, ad osservare il mio limite: in questo caso alla parte del limite che tocca aspetti più soggettivi di se stessi; ovvero: di fronte alle richieste dell’altro, qualunque altro che sia, dal bambino che seguo, dal figlio che richiede sempre più, dal vicino che incontro, dalle persone con cui ho a che fare nel quotidiano….

Che cosa faccio di fronte a qualcosa che in qualche modo mi mette a disagio?

Di fronte a richieste particolarmente angoscianti della vita, come il dolore, la morte, la malattia e che possono essere vissute in maniera più amplificata dai ragazzi, cosa faccio come adulto che deve poter essere un punto di riferimento per le giovani generazioni?

cosa faccio come marito o moglie, compagna o compagno, in famiglia?


Saito Tamaki è lo psichiatra giapponese che conia questo termine, negli anni ottanta, per definire il fenomeno precedentemente emerso in Giappone. Hikikomori significa “stare in disparte, isolarsi”.

 

Lancini M. (a cura di). Il ritiro sociale negli adolescenti, 2019, Raffaello Cortina Editore, Milano



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